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Eventi 2012 - Radici di Pietra

CORSI E RICORSI

Cari amici,
nessuno, nel 476 d. C., l’anno passato alla storia come quello della caduta dell’Impero romano, avrebbe mai pensato, né tanto meno capito, che il mondo – almeno quello conosciuto – si trovasse a una svolta. E, per certi versi, non ne avrebbe avuto ragione, visto che gli eventi che propiziarono tale condizione – la deposizione di un bambino, Romolo Augustolo – non furono poi così diversi e più sconvolgenti di tanti altri consimili che la Roma di allora aveva reso quasi abituali.
Né, del resto, deve impressionare più di tanto il fatto che Roma, in quel frangente, diventasse oggetto delle mire dei cosiddetti Barbari – ai quali fu facile e comodo (ma antistorico e superficiale), molto tempo dopo, attribuire la responsabilità di una tale fine – poiché, alla stessa stregua, molti altri “Barbari”, in passato, avevano contribuito a modellare e a far grande quella stessa Roma che adesso, ahimè, se ne stava andando.
Oggi sappiamo, alla luce della Storia, che, un giorno, quel “sangue nuovo” avrebbe finito, per forza di cose, per rigenerare quello asfittico, ormai incapace di irrorare a dovere ogni “organo” di quell’immensa creatura, cresciuta così tanto a dismisura; ma, allora, e per molto tempo, nessuno comprese, né avrebbe potuto, ciò che stava accadendo.
Sta di fatto, ma questo lo si sarebbe capito solo qualche decennio, se non qualche buon secolo, appresso, che quel nome, Romolo Augustolo, per l’appunto, avrebbe finito per fare la differenza. Quel nome, alla fine, ci avrebbe messo nelle condizioni di segnare un discrimine che, altrimenti, si sarebbe stemperato in un limbo temporale assai più vasto, entro il quale Totila, o Teodorico che dir si voglia, non sarebbero stati altro che un ennesimo Alarico o un redivivo Attila. E invece, quel Romolo Augustolo e quelle insegne imperiali dismesse e trasmesse da Odoacre a Zenone in Oriente, nel frattempo, stavano facendo la differenza, ormai. Avevano già fatto la differenza.
Come dire: i nomi pesano. Almeno quanto pesa il simbolo che quei nomi esprimono.

È sulla scorta di queste riflessioni, ora, che Radici di pietra – di cui questo breve editoriale vuole celebrare il reingresso nel proprio nuovo sito web – non può, e non vuole, scrollarsi di dosso eventi che, col senno di poi, potrebbero un giorno caricarsi di significati e di valori molto più profondi di quelli che, oggi, vengono a essi attribuiti.
Ci riferiamo, se non alla caduta, almeno alla battuta d’arresto di un altro Impero. Quello della nostra, odierna società, che, sull’onda di un nuovo, gigantesco “tumulto” – che al nome di Odoacre, oggi, si compiace di sostituire quelli di “Alta finanza” e di “Globalizzazione” –, sta consegnando inconsapevolmente le proprie insegne non si sa bene a chi.
Ebbene, Romolo Augustolo, per noi, oggi, si chiama Grecia, Siria, Egitto, Palestina, Israele e così via. Ognuno di questi Paesi contiene e vanta un pezzo significativo di quelle insegne su cui avevamo sperato potesse reggersi ancora l’Impero presunto della civiltà, del benessere, dell’etica, della cultura.
Se non saremo capaci di “riportare a casa” il valore vero di ciò che ognuno di questi nomi ha espresso e che tuttora esprime a beneficio di ciò che oggi noi tutti siamo, allora si che dovremmo cominciare a pensare, anche per noi, a una comoda etichetta, e una data, con cui ricordare la nostra, personale caduta epocale.

Non vorrei, ora, che l’assistere impotenti, indifferenti e rassegnati alla “evocatio” di quella parte delle insegne che la Grecia, la Siria o chi per esse hanno custodito per noi e che il mondo oggi chiede di sacrificare al tempio dell’Alta finanza, ci renda compici di un passaggio della Storia cui non avremmo voluto assistere. L’abdicazione definitiva, cioè, del mondo di oggi al predominio di quelle logiche e di quelle forze che al bene dello spirito antepongano incondizionatamente quelle dell’immediatezza del benessere tout-court. Benessere che, se tarato sui listini di borsa, anziché sui “bond” della memoria – su cui sono annotati, peraltro, tutti i differenziali (spread) dell’etica –, ri-schia di oscillare indefinitamente fino ad azzerarsi.
Declassare la Grecia, dimenticare la Siria, alzare le spalle all’ennesimo insulto inferto al Museo del Cairo, ebbene, nemmeno la Roma delle conquiste – quella che nel sangue aveva promosso la sua grandezza, ma che, di contro, si era guardata bene dal “buttare alle ortiche” i retroterra di chi, via via, finiva per cadere nella sua sfera d’attrazione –, avrebbe commesso una tale ingenuità.
Oggi, invece, il mondo colto, quello civile, quello dei diritti, crede di potersi permettere impu-nemente il lusso di “sputare” nel piatto dove ha fin qui mangiato.
È per questo motivo, cari amici, che Radici di pietra, fin da oggi, conta sul rinnovato sostegno di tutti gli amici che vorranno farsi ancora interpreti di quei valori che esulano dal tornaconto dell’immediato e che, soprattutto, rifuggono dalla logica perversa che debba essere l’economia dei mercati a dettare lo spessore morale e culturale di ciò che siamo stati e di ciò che dovremo essere.

Alle vecchie battaglie, pertanto, oggi più che mai, Radici di pietra associa quest’altra. Per vin-cere la quale solo gli sforzi e la pervicacia della gente comune, che ha a cuore la dignità del proprio patrimonio culturale, prima ancora che la sua integrità, potranno essere efficaci.
È per questo che, anche da questa piccola finestra sul mondo, Radici di pietra ritiene che si pos-sa fare qualcosa e che tutti, ciascuno per come potrà e saprà, possano contribuire a erigere un argine per far fronte a una deriva che, giorno dopo giorno, rischia di cancellare le “sinapsi” che, racco-gliendo i dati del nostro passato, sarebbero state un giorno capaci di dare impulso, e vitalità, alle ra-gioni stesse del nostro futuro.

È con questo spirito, del resto, che Radici sta per portare alle stampe una sua ennesima rifles-sione che, non a caso questa volta, si chiamerà “Radici di pietra, la voce di chi non ha voce – un excursus alla scoperta di luoghi simbolo a rischio d’estinzione”.

Vi ringrazio, come sempre, dell’affetto con cui ci seguite... e rimbocchiamoci le maniche.

Michele Bilancia.

 
 
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